Quando domenica, alla fine del GP del Mugello, mi sono buttato tra la folla, ho realizzato un altro sogno da bambino: tuffarmi in mezzo al pubblico.
A volte mi sembra di vivere in un sogno continuo, uno di quelli che si costruiscono giorno dopo giorno.
Guidare una MotoGP in una squadra ufficiale è una di quelle cose che, da piccolo, guardi alla TV con gli occhi spalancati.
Ti dici: “magari un giorno…”. Ma sai anche che quel “magari” è grande, enorme, quasi impossibile.
I bambini sognano.
Disegnano mondi, speranze, desideri.
Due mesi fa sono stato all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, e lì ho incontrato bambini — dai neonati agli undicenni — che ogni giorno lottano con una forza che ti lascia senza parole.
Forse in me vedono un supereroe, non lo so. So solo che io in loro vedo dei veri guerrieri.
A loro ho voluto dedicare qualcosa di speciale: il casco di questo Mugello 2025.
Un casco disegnato da loro, pieno di colori, sogni e forza. Un capolavoro.
Un messaggio su tutti: “Vietato dire che non ce la faccio”. Perché quando il cuore è grande, tutto è possibile.
In qualifica ho spinto. Abbiamo fatto dei passi avanti nei test di Aragón, ma nel time attack manca ancora qualcosa.
Rimontare è sempre dura — ma lo ammetto, fare bei sorpassi mi diverte.
Però anche partendo più avanti, sarei comunque arrivato quinto. Da metà gara in poi le gomme erano andate, e il ritmo dei primi non riuscivo più a tenerlo.
Va bene così.
Perché l’energia di questo weekend me la porterò dentro a lungo. La carica per le prossime gare c’è.
E come ho detto ai bambini, come ci siamo promessi a vicenda: Vietato dire che non ce la faccio!